Parco Naturale Regionale del Taburno-Camposauro
Il massiccio Taburno-Camposauro è situato ad Ovest di Benevento, da cui dista pochi chilometri e nella cui provincia ricade interamente. Culmina nel monte Taburno (m 1394), Camposauro (m. 1388) e Pentime (m 1170).
Il loro profilo visto dalla città ricorda quello di una donna sdraiata, da cui l’appellativo “Dormiente del Sannio” dato al massiccio. Il massiccio è delimitato dalla Valle del Calore a Nord, ossia la Valle Telesina (che lo separa dal Matese), e dalla Valle Caudina a Sud (che lo separa dal Partenio); ad Est ed Ovest due corsi d’acqua minori, lo Ienga e l’Isclero, scorrono attraverso le colline che digradano dolcemente dal massiccio.
Il massiccio è costituito da due blocchi calcarei separati dalla depressione tettonica di Piana di Prata. La loro origine, avvenuta nell’età mesozoica, è dovuta alla compressione ed al sollevamento delle formazioni che hanno dato origine alla catena alpina e che ancora 200 milioni di anni fa erano sommerse dal mare. A testimonianza di ciò si rilevano un po’ dappertutto sul massiccio resti di affioramenti fossiliferi (rudistacee etc.) spesso visibili in sezione anche nei marmi estratti nel massiccio. A tal proposito conviene ricordare i pregiati marmi di Vitulano che per la diversa colorazione del cemento trasparente e rossastro, per i riempimenti alabastrini e per le infiltrazioni di ossidi di ferro e manganese, hanno caratterizzato le molteplici varietà dei marmi, ieri molto ricercati e sfruttati, oggi non più estratti per uso rivestimento soprattutto a causa della loro particolare fragilità. Alla base del massiccio sono presenti argille, arenarie e numerosi massi calcarei; sui più ripidi versanti meridionali si trovano anche brecce costituite dai detriti di falda, abbondanti per la proprietà della roccia calcarea di essere facilmente fratturabile.
Materiale piroclastico proveniente dai vulcani flegrei di Roccamonfina e del Vesuvio si presenta sotto forma di tufi e partecipa largamente alla formazione del terreno nel massiccio. Interessanti esempi di carsismo sono il Campo di Cepino, il Campo di Trellica ed il Campo alla base di Camposauro: sono tre conche chiuse dotate di inghiottitoi o pseudodoline ed in cui sovente l’acqua ristagna fino all’inizio dell’estate.
I dati più recenti sulla vegetazione del Taburno – Camposauro risalgono al 1985 (Carta faunistica regionale) in cui sono citati pure lavori precedenti (1964). La vegetazione della parte bassa del Taburno è costituita principalmente da roverella, che si presenta con popolamenti piuttosto radi e con individui che non superano i 4 – 5 metri. Si tratta di piante soggette a tagli periodici (cedui) o di convivenza con l’olivo negli oliveti sopra S. Agata, Bonea e Montesarchio. Più in alto sino a 600 – 700 metri, per le migliori condizioni edafiche e di umidità, si raccoglie una più ricca vegetazione fatta in prevalenza di frassino, carpino, acero, oltre alla stessa roverella. Nella Piana di Prata restano i residui di una cerreta che doveva essere in passato ben più estesa. Cedui di castagno si incontrano lungo le strade Montesarchio – Albergo del Taburno e Solopaca – Camposauro intorno a quota 800 metri; si tratta di popolamenti degradati per l’attacco di parassiti. Il leccio si trova accantonato sulle balze calcaree ad altitudini diverse anche sino a 1000 – 1100 metri.
Al di sopra dei 900 metri è il faggio che domina incontrastato, costituendo, nella foresta demaniale del Taburno, dei lembi pregiati con alberi dai tronchi dritti e maestosi. Qui si trovano pure degli abeti bianchi, introdotti nella zona intorno al 1846 per volontà dei Borboni, ed attualmente in fase di regresso a vantaggio del faggio, per l’attacco sia dei coleotteri Bostrichidi, sia dei funghi del genere Fomes. Le faggete del Camposauro, di proprietà comunale, mostrano le tracce di tagli intensi ed indiscriminati operati in buona parte nel corso dell’ultimo conflitto. In questa zona troviamo pure la maggiore presenza di agrifoglio, spesso sfruttato in maniera irrispettosa durante il periodo natalizio.
La situazione attuale della fauna del massiccio Taburno-Camposauro è poco nota, se si esclude il censimento ornitologico degli anni 1983-87. Non risultano presenti specie rare e particolarmente minacciate, probabilmente perché già estinte a causa dell’elevata pressione antropica a cui è soggetto il massiccio. Da segnalare, invece, il rinvenimento di della carcassa di un lupo avvelenato nel 1996, sintomo sia della presenza del mammifero nel massiccio che dell’avversione cui è soggetto da parte dei pastori. Sono tuttavia presenti una colonia di corvo imperiale, diverse specie di uccelli rapaci diurni e notturni, picchi, piccoli passeriformi e piccoli mammiferi. La mancanza di corsi d’acqua determina l’assenza di ecosistemi molto ricchi di specie; nonostante ciò il massiccio rappresenta la zona più ricca di specie della provincia di Benevento, grazie alla varietà di ambienti che si incontrano (dai campi coltivati alle rupi, dal bosco di faggio, al ceduo, alle siepi ed alle macchie di roverella).
La marcata diversità ecosistemica richiede un’azione complessa e specifica da parte dell’ente gestore, che per risultare efficace deve essere condivisa con altri soggetti attivi nell’areale del parco, in primis la cittadinanza.
La tutela di tali aree diventa cruciale quando lo scenario socio economico dei 14 comuni del parco comprende lo sfruttamento di risorse naturali rinnovabili (acqua, legnami e prodotti del bosco) e l’agricoltura, non sempre condotta con pratiche compatibili con il parco. Tali attività produttive sono il fattore arginante il generalizzato calo demografico in atto, e possono trasformarsi da potenziali fattori incrementanti i rischi ambientali, a valore aggiunto del territorio e delle produzioni stesse, seguendo la richiesta dalle politiche comunitarie per la conservazione della natura, all’interno di un sistema circolare in cui si passa dalla tutela delle comunità naturali alla tutela delle produzioni e del cittadino. Finora nelle aree del progetto non sono state realizzate azioni sistematiche per la conoscenza, la conservazione e salvaguardia degli habitat e delle specie. Negli anni ’90 è stata recintata la Foresta Demaniale del Taburno consentendo di limitare parzialmente l’accesso a turisti e pastori.
L’Ente Parco Regionale Taburno-Camposauro ha avviato l’elaborazione del Piano territoriale e del Piano socio-economico, ma il processo non si è ancora concluso e quindi occorrerà ancora tempo per azioni concrete di conservazione. Di contro, la millenaria presenza dell’uomo in questo territorio ne ha alterato profondamente la caratteristiche naturali, dal disboscamento e messa a coltura dei suoli dei tempi preistorici, alla realizzazione di strade ed edifici anche in quota degli ultimi decenni. Nel passato il territorio montano, i boschi, le rupi erano considerati luoghi inospitali e quasi minacciosi per l’uomo e la civiltà, sviluppando un senso atavico di ostilità che ha portato a depredare il territorio e le sue risorse, se non addirittura a distruggerlo con incendi, tagli a raso.
Il principale fattore di rischio riscontrato nel territorio del Parco Regionale Taburno-Camposauro riguarda l’antropizzazione. L’espansione edilizia e infrastrutturale (strade, parcheggi, ecc.) dei centri abitati rappresenta una seria minaccia all’integrità ambientale e alla conservazione delle biocenosi vegetali e animali. Non solo, la crescita dei centri abitati minaccia anche l’integrità paesaggistica e diviene, nel tempo, un elemento di forte degrado per un territorio che, al contrario, con l’istituzione del Parco Regionale, potrebbe aspirare a forme di economia durature basate su di un turismo di buon livello qualitativo, fatto di visitatori che al territorio del Taburno-Camposauro chiedono ambienti sani, paesaggi gradevoli, natura incontaminata e, di conseguenza, cibi e prodotti genuini.
L’aumento indiscriminato di rifiuti, inoltre, oltre ad allontanare i visitatori più sensibili e più utili all’economia locale, comporta anche un aggravio di costi per le comunità locali, per la rimozione degli stessi.
L’intenso utilizzo boschivo, inoltre, può creare diversi problemi: in alcune aree del Parco sono state piantate specie alloctone, come quelle di Pino, di Abete e di altre conifere, di Robinie e di Ailanto utilizzate contro il dissesto idrogeologico causato dal disboscamento o, semplicemente, per rimboscare la patch utilizzata; andrebbero valorizzate ed utilizzate, invece, le specie tipiche della zona, come ad esempio la Roverella, il Cerro e il Faggio (a seconda della quota), che, sebbene più costosi e dall’accrescimento più lento, risultano in armonia con le caratteristiche tipiche del territorio, sulle quali, ovviamente, si basano anche i popolamenti faunistici e la distribuzione delle specie selvatiche.
Nei prati pascolo conservati dall’attività dei greggi e delle mandrie permangono una serie di specie floristiche, tra questa molte orchidee che altrimenti scomparirebbero, e con esse tutta una fauna specializzata per questo tipo di ambiente. Il sovra pascolo, invece, rappresenta un grave problema ambientale che si ripercuote anche sugli stessi allevatori; l’eccesso di bestiame al pascolo comporta il danneggiamento dello stesso con la perdita di biodiversità e l’inaridimento del suolo, oltre che, ovviamente, l’impoverimento trofico degli animali domestici.
Per approfondire: enteparcotaburno.it